mercoledì 30 dicembre 2009

TE DEUM

TE DEUM

Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem, * omnis terra venerátur.
Tibi omnes ángeli, *
tibi cæli et univérsæ potestátes:
tibi chérubim et séraphim *
incessábili voce proclamant:

Sanctus, * Sanctus, * Sanctus *
Dóminus Deus Sábaoth.
Pleni sunt cæli et terra * maiestátis glóriæ tuae.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
te prophetárum * laudábilis númerus,
te mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum *
sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ maiestátis;
venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.

Tu rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Filius.
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, *
non horruísti Virginis úterum.
Tu, devícto mortis acúleo, *
aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.
Te ergo, quæsumus, tuis fámulis súbveni, *
quos pretióso sánguine redemísti.
ætérna fac cum sanctis tuis * in glória numerári.

Salvum fac pópulum tuum, Dómine, *
et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te;
et laudámus nomen tuum in sæculum, *
et in sæculum sæculi.
Dignáre, Dómine, die isto *
sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, *
quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: *
non confúndar in ætérnum.

Basilica Vaticana - 18 Ottobre 2009 - 40 anni dopo la S. Messa in rito antico

martedì 29 dicembre 2009

Lettera del Santo Padre ai Vescovi sul motu proprio "Summorum Pontificum"


Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu Proprio “ Summorum Pontificum ” sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970

Cari Fratelli nell’Episcopato,
con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica "Motu Proprio data" sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera.
Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto.
A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.
In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali ? la riforma liturgica ? venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale ? la forma ordinaria ? della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito.
Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.
Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio "Ecclesia Dei" del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le "giuste aspirazioni" di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.
In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.
È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione "Ecclesia Dei" in contatto con i diversi enti dedicati all’ "usus antiquior" studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.
Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,11?13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.
Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.
In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum").
Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio.
Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.
Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue" (Atti 20,28).
Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.

Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007
Benedetto XVI

Una buona lettura


Concilio Ecumenico Vaticano II
Un discorso da fare
Autore: Brunero Gherardini

sabato 26 dicembre 2009

Canto Gregoriano

Prima di addentrarci nel discorso sulla musica sacra e i suoi libri liturgici, ricorderemo alcuni pronunciamenti del Magistero cattolico sul ministero liturgico del musicista. Nel 1903 il Papa San Pio X di venerata memoria ebbe a scrivere: “La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli” e proseguiva “…i cantori hanno in chiesa vero officio liturgico”. Per quanto riguarda i musicisti di Chiesa, prescrisse: “…non si ammettano a far parte della cappella di chiesa se non uomini di conosciuta pietà e probità di vita, i quali, col loro modesto e devoto contegno durante le funzioni liturgiche, si mostrino degni del santo officio che esercitano. Sarà pure conveniente che i cantori, mentre cantano in chiesa, vestano l’abito ecclesiastico e la cotta…” . Il venerabile Pio XII, riallacciandosi al magistero di San Pio X, ...
... scrisse: “Infatti, quanti o compongono musica, secondo il proprio talento artistico, o la dirigono, o la eseguono sia vocalmente sia per mezzo di strumenti musicali, tutti costoro senza dubbio esercitano un vero e proprio apostolato, anche se in modo vario e diverso, e riceveranno perciò in abbondanza da Cristo Signore le ricompense e gli onori riservati agli apostoli, nella misura con cui ognuno avrà fedelmente adempiuto il suo ufficio.
Essi perciò stimino grandemente questa loro mansione, in virtù della quale non sono solamente artisti e maestri di arte, ma anche ministri di Cristo Signore e collaboratori nell'apostolato, e si sforzino di manifestare anche con la condotta della vita la dignità di questo loro ufficio”. Nel 1958 la Sacra Congregazione dei Riti pubblicò un’Istruzione sulla musica sacra e la Santa Liturgia, firmata dal Card. Cicognani, dove si legge che “i laici di sesso maschile - bambini, ragazzi o adulti che siano – allorquando siano deputati dalla competente autorità ecclesiastica al servizio dell’altare e all’esecuzione della musica sacra, svolgendo le loro funzioni in guisa conforme alle rubriche, esercitano un servizio ministeriale diretto ma delegato”.
Il Concilio Vaticano II ribadisce con forza che “tutti gli artisti, poi, che guidati dal loro talento intendono glorificare Dio nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in certo modo una sacra imitazione di Dio creatore e che le loro opere sono destinate al culto cattolico, alla edificazione, alla pietà e alla formazione religiosa dei fedeli” . Dal Motu Proprio de musica sacra del Sommo Pontefice San Pio X "Tra le sollecitudini" (22 novembre 1903): ...[il] canto gregoriano è per conseguenza il canto proprio della Chiesa Romana, il solo canto ch’essa ha ereditato dagli antichi padri, che ha custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici, che come suo direttamente propone ai fedeli, che in alcune parti della liturgia esclusivamente prescrive e che gli studi più recenti hanno sì felicemente restituito alla sua integrità e purezza.
Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il supremo modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme.
L’antico canto gregoriano tradizionale dovrà dunque restituirsi largamente nelle funzioni del culto, tenendosi da tutti per fermo, che una funzione ecclesiastica nulla perde della sua solennità, quando pure non venga accompagnata da altra musica che da questo soltanto. In particolare si procuri di restituire il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’ officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi. Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente della Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e musicale.
La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto. La Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium” sulla sacra liturgia (1963) prescrive: La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a norma dell'art. 30.

venerdì 25 dicembre 2009


COSTITUZIONE APOSTOLICA QUO PRIMUM TEMPORE
Per la promulgazione del Messale Romano come Rituale da utilizzarsi in tutto il Mondo di Sua Santità Pio V
I
Fin dal tempo della Nostra elevazione al sommo vertice dell'Apostolato, abbiamo rivolto l'animo, i pensieri e tutte le Nostre forze alle cose riguardanti il Culto della Chiesa, per conservarlo puro, e, a tal fine, ci siamo adoperati con tutto lo zelo possibile a preparare e, con l'aiuto di Dio, mandare ad effetto i provvedimenti opportuni. E poiché, tra gli altri Decreti del sacro Concilio di Trento, ci incombeva di eseguire quelli di curare l'edizione emendata dei Libri Santi, del Messale, del Breviario e del Catechismo, avendo già, con l'approvazione divina, pubblicato il Catechismo, destinato all'istruzione del popolo, e corretto il Breviario, perché siano rese a Dio le lodi dovutegli, ormai era assolutamente necessario che pensassimo quanto prima a ciò che restava ancora da fare in questa materia, cioè pubblicare il Messale, e in tal modo che rispondesse al Breviario: cosa opportuna e conveniente, poiché come nella Chiesa di Dio uno solo è il modo di salmodiare, cosí sommamente conviene che uno solo sia il rito per celebrare la Messa.
II
Per la qual cosa abbiamo giudicato di dover affidare questa difficile incombenza a uomini di eletta dottrina. E questi, infatti, dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza ed integrità - quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo - e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, hanno infine restituito il Messale stesso nella sua antica forma secondo la norma e il rito dei santi Padri.
III
Pertanto, dopo matura considerazione, abbiamo ordinato che questo Messale, già cosí riveduto e corretto, venisse quanto prima stampato a Roma, e, stampato che fosse, pubblicato, affinché da una tale intrapresa e da un tale lavoro tutti ne ricavino frutto: naturalmente, perché i sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare.
IV
Perciò, affinché tutti e dovunque adottino e osservino le tradizioni della santa Chiesa Romana, Madre e Maestra delle altre Chiese, ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'orbe Cristiano: - nelle Patriarcali, Cattedrali, Collegiate e Parrocchiali del clero secolare, come in quelle dei Regolari di qualsiasi Ordine e Monastero, maschile e femminile, nonché in quelle degli Ordini militari, nelle private o cappelle - dove a norma di diritto o per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa, sia quella Conventuale cantata presente il coro, sia quella semplicemente letta a bassa voce, non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato; e ciò, anche se le summenzionate Chiese, comunque esenti, usufruissero di uno speciale indulto della Sede Apostolica, di una legittima consuetudine, di un privilegio fondato su dichiarazione giurata e confermato dall'Autorità Apostolica, e di qualsivoglia altra facoltà.
V
Non intendiamo tuttavia, in alcun modo, privare del loro ordinamento quelle tra le summenzionate Chiese che, o dal tempo della loro istituzione, approvata dalla Sede Apostolica, o in forza di una consuetudine, possono dimostrare un proprio rito ininterrottamente osservato per oltre duecento anni. Tuttavia, se anche queste Chiese preferissero far uso del Messale che abbiamo ora pubblicato, Noi permettiamo che esse possano celebrare le Messe secondo il suo ordinamento alla sola condizione che si ottenga il consenso del Vescovo o dell'Ordinario, e di tutto il Capitolo.
VI
Invece, mentre con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, priviamo tutte le summenzionate Chiese dell'uso dei loro Messali, che ripudiamo in modo totale e assoluto, stabiliamo e comandiamo, sotto pena della Nostra indignazione, che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato, nulla mai possa venir aggiunto, detratto, cambiato. Dunque, ordiniamo a tutti e singoli i Patriarchi e Amministratori delle suddette Chiese, e a tutti gli ecclesiastici, rivestiti di qualsiasi dignità, grado e preminenza, non esclusi i Cardinali di Santa Romana Chiesa, facendone loro severo obbligo in virtú di santa obbedienza, che, in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri Messali, per quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggano la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che Noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo Messale.
VII
Anzi, in virtú dell'Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l'Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: cosí che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né, d'altra parte, possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale.
VIII
Similmente decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario, nonché l'uso delle predette Chiese, fosse pur sostenuto da prescrizione lunghissima e immemorabile, ma non superiore ai duecento anni.
IX
Inoltre, vogliamo e, con la medesima Autorità, decretiamo che, avvenuta la promulgazione della presente Costituzione, e seguita l'edizione di questo Messale, tutti siano tenuti a conformarvisi nella celebrazione della Messa cantata e letta: i Sacerdoti della Curia Romana, dopo un mese; quelli che sono di qua dei monti, dopo tre mesi; quelli che sono di là dei monti, dopo sei mesi o appena sarà loro proposto in vendita.
X
Affinché poi questo Messale sia ovunque in tutta la terra preservato incorrotto e intatto da mende ed errori, ingiungiamo a tutti gli stampatori di non osare o presumere di stamparlo, metterlo in vendita o riceverlo in deposito, senza la Nostra autorizzazione o la speciale licenza del Commissario Apostolico, che Noi nomineremo espressamente nei diversi luoghi a questo scopo: cioè, se prima detto Commissario non avrà fatta all'editore piena fede che l'esemplare, che deve servire di norma per imprimere gli altri, è stato collazionato con il Messale stampato in Roma secondo la grande edizione, e che gli è conforme e in nulla ne discorda; sotto pena, in caso contrario, della perdita dei libri e dell'ammenda di duecento ducati d'oro da devolversi ipso facto alla Camera Apostolica, per gli editori che sono nel Nostro territorio e in quello direttamente o indirettamente soggetto a Santa Romana Chiesa: della scomunica latæ sententiæ e di altre pene a Nostro arbitrio, per quelli che risiedono in qualsiasi altra parte della terra.
XI
Data però la difficoltà di trasmettere le presenti Lettere nei varii luoghi dell'orbe Cristiano, e di portarle alla conoscenza di tutti il piú presto possibile, Noi prescriviamo che esse vengano affisse e pubblicate come di consueto alle porte della Basilica del Principe degli Apostoli e della Cancelleria Apostolica, e in piazza di Campo dei Fiori, dichiarando che sia nel mondo intero accordata pari e indubitata fede agli esemplari delle medesime, anche stampati, purché sottoscritti per mano di pubblico notaio e muniti del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, come se queste stesse Lettere fossero mostrate ed esibite.
XII
Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno diciannove di luglio dell'annomillecinquecentosettanta, quinto del nostro pontificato.


In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Ómnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebrae eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut ómnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat ómnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria vénit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his qui crédunt in nómine eius: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Et Verbum caro factum est , et habitávit in nobis; et vídimus glóriam eius, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiae et veritátis.

domenica 20 dicembre 2009



Domine, non sum dignus,

ut intres sub tectum meum:

sed tantum dic verbo,

et sanabitur anima mea.

IV domenica d'avvento

Alla vigilia del Natale la Chiesa guarda a Maria – luogo storico dell'incarnazione del Figlio di Dio – per professare la sua fede nella divinità del figlio che da lei nasce e per imparare da lei come accogliere la permanente incarnazione di Dio nella Chiesa attraverso quella disponibilità che noi chiamiamo fede. La Madonna è primizia e immagine, e quindi modello, della Chiesa. "Madre del mio Signore" la chiama Elisabetta, e ne verifica l'effettiva presenza ed efficacia nella santificazione immediata del figlio Giovanni che porta in seno. "Beata te che hai creduto" la complimenta Elisabetta, riconoscendo proprio nella sua fede la radice di una fecondità che viene tutta da Dio.
1) "MADRE DEL MIO SIGNORE" Maria a Nazaret aveva ricevuto un annuncio incredibile: avrai un figlio non da uomo ma da Spirito santo, perché sarà il Figlio di Dio. - "Come è possibile?" - C'è un segno? – Sì, "la tua parente Elisabetta nella sua vecchiaia ha concepito un figlio". E Maria corre a verificare il segno. Veramente "nulla è impossibile a Dio", anche rendere fecondo un seno sterile! Non mancherà allora di rendere feconda anche una vergine: "In Betlemme...Colei che deve partorire partorirà" (I lett.). Anzi, lo porta già con sé, come nuova Arca dell'Alleanza che contiene la Presenza santificatrice di Dio, così che "al suo saluto" Giovanni diviene "pieno di Spirito santo fin dal seno di sua madre" (Lc 1,15). E' la novità assoluta della storia. Gli uomini da sempre hanno cercato Dio. Un giorno però Dio decise Lui di incrociare le strade egli uomini, di mescolarsi alla loro vicenda, di assumerla per caricarla della sua divinità. "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati salvati" (II lett.). E' la decisione del Verbo di farsi carne per portare la redenzione - a partire da Giovanni Battista, "l'ultimo dei profeti" - a tutti "quelli che lo temono di generazione in generazione" come qui proclama Maria nel Magnificat. La Chiesa proclama Maria "theotocosì, madre di Dio; madre non solo dell'uomo Gesù o del profeta Cristo, ma del Figlio di Dio, che assumendo la natura umana da Maria ne fa una parte integrante della divinità, unica Persona del Verbo in due nature unite sostanzialmente. Quel bambino che nasce a Natale è "il Verbo che era presso Dio, che era Dio" e che nel tempo "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). Nel corpo di Maria il Dio invisibile s'è reso visibile in carne ed ossa: "In Lui - dirà san Paolo - abita la pienezza della divinità in un modo fisico" (Col 1,9).
2) "BEATA TE CHE HAI CREDUTO" Opera impensabile e gratuita di Dio è l'incarnazione; mistero nascosto da secoli e ora rivelato; ma non meno bisognoso di un consenso umano perché possa attuarsi come alleanza e comunione d'amore. L'immagine che traduce fino in fondo tutto l'ingaggio di Dio con l'uomo è quello dello SPOSALIZIO. Scrive sant'Agostino: "L'utero della Vergine fu la stanza nuziale nella quale si sono uniti lo Sposo e la sposa, il Verbo e la carne". Per questo Maria disse: "Ecco, io sono la serva del Signore". Ed Elisabetta la proclama la prima beata - "Beata te che hai creduto nell'adempimento delle parole del Signore" -, proclamando in Maria anche la prima Beatitudine, appunto quella della fede. Prima che nel suo corpo con la carne - dice sant'Ambrogio, - Maria generò Dio nel suo cuore con la fede. Questo significa riconoscere l'assoluta prevalenza dell'azione di Dio e lasciarGli libero campo per agire in noi. Maria lo riconosce bene: "Il Signore ha guardato alla pochezza della sua serva, ha fatto in me grandi cose: Santo è il suo nome". Non è merito mio, tutto ha fatto Lui, e io ben mi sono resa disponibile perché faccia di me quel che vuole. E' l'esatto opposto a volersi costruire da sé magari al di fuori e contro il disegno di Dio; nel che consiste propriamente il peccato, di Adamo e nostro. E la nostra infecondità e fallimento. Quando, come Maria, uno mette tutto il suo essere nella mani di Dio, ne diviene strumento per le sue grandi cose. E, come è avvenuto per Pietro, da una povera pesca spesso fallimentare, si passa alla abbondante pescagione, e di uomini! Con un salto cioè di qualità nella fecondità della vita. Un giorno Gesù disse: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 8,21). Sant'Agostino dice che Maria fu più grande per essere stata discepola di Gesù che non sua madre. Se la fecondità divina viene dalla fede, è qualcosa che è possibile anche a noi. La Chiesa e ognuno di noi siamo chiamati ad avere una docilità piena allo Spirito se si vuole che l'incarnazione iniziata in Maria si prolunghi nel tempo in noi e attraverso noi nel mondo di oggi. Maria, trovata tutta disponibile a Dio, fu resa feconda per l'azione dello Spirito. Da vergine a madre per la fede e lo Spirito. E' ciò che consente a che Dio s'incarni ancora.

sabato 19 dicembre 2009

Dire NO alla Santissima Eucarestia sulle mani



Come cattolici tradizionalisti non dobbiamo vergognarci a parlare di ignominia e sacrilegio quando osserviamo il corpo di Cristo nelle mani non benedette di ministri “straordinari”, e di “fedeli moderni” che non comprendono pienamente che ricevere la comunione sulla mano è prassi straordinaria e non uso comune e normale di comunicarsi con nostro Signore. San Tommaso d’ Aquino, il grande teologo e dottore della Chiesa, dice: «Il corpo di Cristo appartiene ai sacerdoti... esso non sia toccato da nessuno che non sia consacrato, nessun altra persona ha il diritto di toccarlo, eccetto in casi d'estrema necessità».Ed ancora il Concilio di Trento dichiarava: «L'uso che solo il sacerdote dia la comunione con le sue mani consacrate è tradizione apostolica».

venerdì 18 dicembre 2009

Galateo per il luogo santo


GALATEO PER IL LUOGO SANTO


- Entra in Chiesa in silenzio e con gran rispetto, tenendoti e reputandoti indegno di comparire davanti alla maestà del Signore.
- Appena sei in vista del Dio Sacramentato, fa devotamente la genuflessione.
- Trovato il posto, inginocchiati e rendi a Gesù Sacramentato il tributo della tua preghiera e della tua adorazione.
- Partecipando alla Santa Messa e alle funzioni, usa molta gravità nell’alzarti, nell’inginocchiarti, nel metterti a sedere, e compi ogni atto religioso con la più grande devozione.
- Sii modesto negli sguardi, non voltare la testa di qua e di là per vedere chi entra e chi esce; non ridere per riverenza al luogo santo ed anche per riguardo a chi ti sta vicino.
- Studiati di non proferire parola con chicchessia, a meno che la carità, ovvero una stretta necessità, non lo esiga.
- Se preghi in comune, pronunzia distintamente le parole della preghiera, fa bene le pause e non affrettarti mai.
- Insomma comportati in modo che tutti gli astanti rimangano edificati e siano, per mezzo tuo, spinti a glorificare e ad amare il Padre Celeste.


Dagli scritti di Padre Pio

giovedì 17 dicembre 2009



PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

presenta
LA FORMA STRAORDINARIA DEL RITO ROMANO

Sussidio didattico audiovisivo per sacerdoti e laici con presentazione di S.Em.Rev.ma il Sig. Dario Card. Castrillon Hoyos. Cofanetto di 2 DVD sottotitoli in italiano/english/espanol/francais.
Per richiederne una copia: Pontificia Commissione Ecclesia Dei – Palazzo della Congregazione per la Dottrina della FedePiazza del Sant’Uffizio, 11 – 00193 ROMA - Tel. 06/69885213 – 69885494 – Fax 06/69883412

mercoledì 16 dicembre 2009


LA MESSA TRIDENTINA
La Santa Messa in Rito antico è la Messa in vigore prima dell’attuale riforma liturgica. Essa ha sempre attratto per la sua bellezza, devozione e capacità di conciliare il raccoglimento e la reverenza verso il Sacrificio Eucaristico.Il precedente Pontefice Giovanni Paolo II con il Motu Proprio Ecclesia Dei aveva già voluto acconsentire alle numerose richieste e preghiere dei fedeli legati all’antica liturgia, lasciando ai Vescovi la facoltà di concedere la celebrazione.Ora, con il nuovo Motu Proprio Summorum Pontificum, il nostro amato santo padre Benedetto XVI ha aperto ancor più generosamente le braccia materne della Chiesa, togliendo praticamente ogni vincolo e affermando che il rito Romano Antico non è mai stato abrogato.La liturgia officiata secondo il Vetus Ordo, viene chiamata anche Messa Tridentina in riferimento al Concilio di Trento, di cui uno degli intenti fu quello di unificare la pratica liturgica.Il papa san Pio V raggiunse questo scopo con la promulgazione del Messale Romano nel 1570. Oggigiorno è conosciuta per lo più come Santa Messa Tradizionale, in quanto frutto meraviglioso e ricchezza magnifica tramandataci dalla Santa Madre Chiesa.Il Papa Giovanni XXIII nel 1962 promulgò l’ultimo Messale prima dell’introduzione del nuovo rito, ed è quello a cui si riferiscono le attuali disposizioni papali.
LA LITURGIA TRADIZIONALE
La Messa Tradizionale è celebrata in lingua latina (tranne l’omelia ed, eventualmente, le letture) e con il Sacerdote rivolto verso Oriente, donde verrà il Sole di giustizia, Cristo Signore. Il celebrante guida quindi il popolo, orientato insieme con lui, verso il Signore che viene.* Per ricevere la Comunione vi è l’obbligo del digiuno da almeno un’ora.* Secondo l’insegnamento della Catechismo della Chiesa Cattolica, chi vuol ricevere Cristo nella Comunione Eucaristica deve essere in atto di grazia. Se uno è consapevole di aver peccato mortalmente, non deve accostarsi all’Eucarestia senza prima aver ricevuto l’assoluzione nel sacramento della penitenza. (n°1415)* La comunione viene ricevuta in ginocchio, sulla lingua e alla balaustra.
.…la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme,in ogni secolo dell’età cristiana,ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi,ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religionee ha fecondato la loro pietà.Benedetto XVI

martedì 15 dicembre 2009


“Dominus Est - Riflessioni di un Vescovo dell'Asia Centrale sulla sacra Comunione”, scritto da Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Karaganda (Kazakhstan), è stato stampato di recente dalla Libreria Editrice Vaticana, con prefazione del Segretario della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, Mons. Malcolm Ranjith.